Le aflatossine sono metaboliti secondari di muffe
appartenenti alle specie Aspergillus flavus e A. parasiticus.
Le aflatossine B1, B2, G1 e G2 sono comuni contaminanti dei prodotti alimentari
di origine vegetale, mentre la M1 è il risultato del metabolismo
epatico della AFB1 e viene escreta nel latte di tutti i mammiferi in lattazione.
Le condizioni ottimali per la crescita del micelio fungino sono rappresentate
da una temperatura compresa tra 36 e 38 °C, da una umidità
del substrato del 30% e da una umidità ambientale dell’85%,
mentre la maggiore produzione di tossine avviene tra 24 e 27 °C per
l’Aflatossina B1 e tra 29 e 30 °C per l’Aflatossina G1.
La crescita delle specie produttrici, e la contaminazione da AF, è
un problema soprattutto dei Paesi tropicali e subtropicali, con climi
piuttosto caldi e umidi, ma le condizioni di crescita e produzione sono
facilmente riscontrabili anche in Italia, in particolare in Pianura Padana
nel periodo estivo. Il fattore più importante da considerare è
l'umidità del substrato: infatti la crescita delle muffe si ha
solo in presenza di valori di attività dell'acqua (aw) superiori
a 0.8. Condizioni favorevoli alla crescita delle muffe e alla produzione
di aflatossine si riscontrano soprattutto nella fase di conservazione
dei cereali più frequentemente utilizzati in alimentazione animale,
in particolare il mais.
Tra le aflatossine la AFB1 è considerata la più tossica,
infatti possiede una potente attività cancerogena, mutagena e teratogena
ed è classificata come carcinogeno di gruppo I dall'Agenzia Internazionale
di Ricerca sul Cancro (IARC, 1987). Mentre sono rari i fenomeni di intossicazione
acuta, gli animali domestici sono frequentemente esposti a fenomeni di
aflatossicosi cronica, i cui sintomi, conseguenti ad alterazioni della
funzionalità epatica, sono anoressia, anemia e drastica caduta
delle performances zootecniche. I giovani sono notevolemente più
sensibili degli adulti, e tra le specie che mostrano maggiore sensibilità
sono da segnalare i suini e i volatili da cortile. I ruminanti sono meno
sensibili agli effetti tossici delle aflatossine, sia per la possibile
inattivazione a livello ruminale di parte delle tossine ingerite, sia
per delle differenze nel metabolismo epatico della sostanza.
Responsabile degli effetti epatocarcinogeni dell'AFB1 non è la
tossina tal quale ma il prodotto della sua epossidazione ad opera degli
enzimi del sistema del citocromo P450, localizzato a livello dei microsomi
epatocitari. Nei ruminanti, a differenza che nelle altre specie, questa
via di trasformazione è catalizzata dagli enzimi del citocromo
P448. La detossificazione avviene attraverso il legame con il GSH o glutatione
ridotto (reazione catalizzata dalla GSH-transferasi) ed in minor misura
attraverso la trasformazione ad aflatossicolo, molecola con minore tossicità
ma che può in parte essere riconvertita in AFB1. Sempre a livello
epatocitario l'AFB1 può andare incontro a metilazione, trasformandosi
in AFM1 che, attraverso il sistema circolatorio, raggiunge la mammella,
dove viene escreta nel latte. Il tasso di escrezione di AFM1 nel latte
è estremamente variabile ed è influenzato da diversi fattori:
il principale è la permeabilità della barriera emato-mammaria.
Si è riscontrato infatti che in bovine nella fase iniziale della
lattazione e ad alta produzione il tasso di escrezione è maggiore.
Tuttavia è difficilmente prevedibile il livello di AFM1 nel latte
a seguito di ingestione di alimenti contaminati da AFB1: infatti esso
non varia solo da individuo a individuo, ma addirittura in funzione dei
giorni o delle ore di mungitura. In generale è segnalato in letteratura
un tasso di carry over variabile dallo 0.25 al 4.8%, ed è stato
calcolato che con un’ingestione di AFB1 superiore a 40 µg/capo/giorno,
viene superato il livello di 50 ppt di AFM1 nel latte. Un'equazione è
stata formulata mettendo in correlazione l'ingestione di AFB1 e l'escrezione
di AFM1:
AFM1 (ng/kg latte) = 1.19 x AFB1 ingerita (µg per vacca per giorno)
+ 1.9 (r = 0.93).
La stabilità dell'AFM1 ai comuni processi cui il latte alimentare
è sottoposto è elevata: i trattamenti termici (pasteurizzazione,
refrigerazione) non hanno pressochè nessun effetto di abbattimento
dei livelli di tossina, ed essa è riscontrabile anche dopo la caseificazione
e la maturazione dei formaggi.
Per questo motivo la contaminazione di AFM1 nel latte di stalla pone rischi
per tutta la filiera del latte, e in particolare per quello destinato
ai bambini, più sensibili alla sua tossicità. L'Unione Europea
ha stabilito valori soglia per il contenuto di AFB1 negli alimenti destinati
agli animali a partire dal 1976, e valori per l'AF B1, B2, G1,G2 e AFM1
nell'alimentazione umana dal 1998. Le norme europee sull'alimentazione
animale impongono limiti tali da evitare gli effetti negativi delle aflatossine
sulla salute degli animali e, a riguardo degli alimenti destinati a bovine
in lattazione, da evitare una contaminazione da AFM1 nel latte superiore
a 0.05µg/l (Tab. 1).
Tabella 1. Valori soglia per AFB1 negli alimenti per bovine da latte
e per AFM1 nel latte stabilititi dall'Unione Europea e dalla Autorità
Alimentare Americana (FDA=Food and Drug Administration).
Livello
massimo ammesso di AFB1 in alimenti per bovine da latte
|
Unione Europea |
5 µg/kg |
Dir. CE 29/99 |
FDA |
20 µg/kg |
FDA Compliance Policy Guide 7126.33 |
Livello
massimo ammesso di AFM1 nel latte |
Unione Europea |
0.05µg/l |
Reg. n. 466/2001 |
FDA |
0.5 µg/kg |
FDA Compliance Policy Guide 7106.10 |
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LINEE GUIDA PER MINIMIZZARE LA PRESENZA DI
AFLATOSSINE NELLA GRANELLA DI MAIS
Nel nostro ambiente di coltivazione si riscontrano livelli molto contenuti
di contaminazione da aflatossine, rispetto alle più importanti
aree maidicole mondiali.
Tuttavia il peso nei nostri allevamenti della componente mais nella razione,
gli elevati standard qualitativi richiesti dal mercato ed una legislazione
europea molto restrittiva in materia (valori soglia di concentrazione
nel mais e nel latte dieci volte più bassi rispetto agli USA) consigliano
l’adozione di alcune procedure ed accorgimenti nelle fasi di coltivazione,
di raccolta, di condizionamento e di conservazione, per abbattere ulteriormente
la concentrazione di queste (ed altre) micotossine nel prodotto finale.
A) FASE DI COLTIVAZIONE
Aspergillus Flavus ed Aspergillus Parasiticus sono
ubiquitari nel terreno, nei residui colturali, nei depositi di foraggi
ed alimenti; la capacità del fungo di infettare la pianta di mais
e le circostanze che inducono successivamente il fungo a produrre aflatossine
in quantità elevata o trascurabile sono ampiamente determinati
dalle condizioni ambientali (picchi di temperatura molto elevati, andamenti
stagionali caldo-umidi durante la maturazione) e da tutte le comuni cause
di stress grave o di squilibrio, che occorrano alla coltura lungo tutto
il ciclo di coltivazione (carenza d’acqua, attacchi parassitari,
carenze o sbilanciamenti di elementi nutritivi).
1. LA SCELTA DELL’IBRIDO NON È RISOLUTIVA
Riferendoci alla attuale gamma degli ibridi commerciali, non si hanno
indicazioni circa l’esistenza di differenze utili per il grado di
resistenza allo sviluppo della tossina.
Alcune caratteristiche morfologiche della spiga e della granella possono
essere di qualche vantaggio nel contenere lo sviluppo del fungo:
– completa copertura della spiga e brattee consistenti, contro l’attacco
di insetti ed altri patogeni;
– portamento non eretto della spiga in fase di maturazione, ad evitare
la ritenzione dell’acqua piovana e la reidratazione della granella;
– granella meno suscettibile (per la forma e per la durezza dell’endosperma)
alle rotture meccaniche che si verificano nei processi di raccolta
– essiccazione – movimentazione.
2. LA CARENZA D’ACQUA È LA CONDIZIONE PIÙ
IMPORTANTE PER L’INFEZIONE DA ASPERGILLO
L’infezione primaria ed il successivo sviluppo del fungo trovano
condizioni molto favorevoli in corrispondenza dei periodi più o
meno lunghi nei quali la pianta si trova in stato di stress evapotraspirativo
per inadeguato rifornimento di acqua e per temperature eccessive. Viene
quindi richiesto da parte dell’agricoltore un adeguato e regolare
rifornimento di acqua alla coltura.
3. L’ATTACCO DELLA PIRALIDE È UN FONDAMENTALE “FATTORE
CONCOMITANTE” CON LA DIFFUSIONE DEL FUNGO E LA PRODUZIONE DI AFLATOSSINE
Le larve di prima generazione indeboliscono la pianta già nella
prima fase di inizio levata; quelle di seconda generazione compaiono generalmente
durante o appena dopo la fase di fecondazione, quindi si approfondiscono
con lunghi tunnel in tutti gli organi della pianta, diffondendo l’infezione
di vari funghi nello stocco e nei tessuti danneggiati della spiga e della
granella. Larve di terza generazione sono state riscontrate nella stagione
e nelle zone più calde, con sviluppo preferenziale sulla spiga.
Le colture attaccate danno un prodotto con una quota elevata di granelli
spezzati o danneggiati e polveri.
4. L’ANTICIPO DELLA RACCOLTA PREVIENE LA FASE PIÙ
ATTIVA DELL’INVASIONE FUNGINA
Il mais conclude il riempimento della cariosside e raggiunge il massimo
nella sostanza secca raccoglibile quando viene completata la formazione
dello “strato nero” (maturazione fisiologica); in questo stadio
la granella presenta una umidità intorno al 30-32%.
La successiva fase di perdita di umidità in campo, fino alla stadio
di “maturazione agronomica”, può avere diversa durata
in relazione all’epoca di comparsa dello strato nero ed all’andamento
stagionale.
La granella di mais, ormai isolata dalla pianta madre, diventa in questa
fase estremamente suscettibile all’invasione da parte dei funghi.
Il livello finale di concentrazione delle micotossine dipende molto, oltre
che dal “potenziale inoculo del fungo” e dalle “condizioni
di incubazione” (andamento climatico) anche dal tempo in cui il
substrato (la granella di mais) è lasciata a “disposizione”
del patogeno. Le indicazioni per l’agricoltore sono conseguenti:
• Diminuire i tempi di permanenza in campo dopo lo strato nero,
accettando di raccogliere ad umidità ragionevolmente più
elevata di quella consentita dall’ibrido o dall’andamento
stagionale.
• Evitare la post-maturazione in pianta (perdita di umidità
fino a valori prossimi all’umidità di conservazione) possibili
con ibridi precoci già maturi in agosto ed, in minor misura, con
ibridi di ciclo medio.
Nello specifico dell’aspergillo e delle aflatossine, l’umidità
ottimale della cariosside per lo sviluppo del fungo è compresa
tra il 16 ed il 20%: la raccolta del prodotto ad umidità non inferiore
al 22-23% ed una immediata essiccazione garantiscono un abbattimento della
potenziale carica di tossine.
5. UNA CORRETTA CONCIMAZIONE FORNISCE ALLA PIANTA MIGLIORI DIFESE
Un apporto sub ottimale di elementi nutritivi o uno sbilanciamento tra
gli stessi (per errata tecnica di concimazione, cattiva lavorazione -strutturazione
dei terreni, perdite, competizione con le infestanti, ecc.) è anch’esso
correlato sia all’intensità dell’infestazione, sia
alla produzione di tossina da parte del fungo.
L’agricoltore deve soprattutto considerare l’importanza di:
• fornire una quantità adeguata di azoto
• assicurare una buona bilanciatura azoto/potassio
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B)FASE DI RACCOLTA, CONDIZIONAMENTO E STOCCAGGIO
1. UNA REGOLAZIONE PUNTUALE DELLA MIETITREBBIA RIDUCE ROTTURE
E FESSURAZIONI DELLE CARIOSSIDI E PREPULISCE IL PRODOTTO DALLE PARTI A
PIÙ BASSO PESO SPECIFICO
Una partita di mais che presenti molte rotture, lesioni e microfessurazione
dei chicchi, costituisce un substrato più attaccabile dai funghi
e di più difficile conservazione in fase di stoccaggio; i granelli
invasi dal fungo sono frequentemente più piccoli (provengono dalla
punta della spiga) più leggeri e più sogetti a rotture (anch’esse
a basso peso specifico).
2. LA RIDUZIONE DELL’INTERVALLO DI TEMPO TRA LA RACCOLTA
E L’ESSICAZIONE PREVIENE UNA IMPORTANTE PROLIFERAZIONE SECONDARIA
DEI FUNGHI.
Già nelle prime ore di attesa del prodotto umido sui carri o sui
piazzali degli essiccatoi si attivano processi di ossidazione e di fermentazione,
con sensibile perdita di sostanza secca ed aumento della temperatura della
massa. Si innesca soprattutto una rapidissima proliferazione secondaria
dei funghi con una capacità di invasione del prodotto proporzionale
ai tempi di attesa, all’umidità della granella, alla temperatura
esterna, all’altezza e compressione dei cumuli. Diventa essenziale,
sotto questo riguardo, un coordinamento tra produttori, aziende agromeccaniche
ed essiccatori, per una stretta pianificazione dei conferimenti.
3. UNA UMIDITÀ FINALE DELLA GRANELLA, ADEGUATA ALLA TIPOLOGIA
DELL’IMPIANTO, ALLA DURATA DELLO STOCCAGGIO ED ALLE CARATTERISTICHE
DEL PRODOTTO IN ENTRATA È LA CONDIZIONE PRIMARIA PER INIBIRE OGNI
ATTIVITÀ FUNGINA IN FASE DI CONSERVAZIONE
• Una umidità di riferimento
pari il 14% (come indicato dall’attuale Contratto
Nazionale 103) può essere considerata idonea in riferimento alle
caratteristiche medie degli impianti, al tempo di conservazione ed alle
condizioni climatiche dei nostri ambienti di produzione.
Umidità superiori, fino al 14,5-15%,
sono tecnicamente sopportabili soltanto per impianti “più
che ordinari” (con la possibilità di raffreddamento della
massa o di atmosfera controllata in silos verticali) o per prodotti con
livelli di acqua libera relativamente più bassi rispetto alla media
(granella ad alto peso specifico con endosperma duro).
Una umidità prudenziale intorno al
13-13,5% è consigliata per impianti con minori
possibilità di controllo del prodotto (impianti con conservazione
in capannone o platea).
Infine, una umidità di garanzia intorno
al 12-12,5% viene adottata quando esistono strette condizioni
contrattuali con utilizzatori finali esigenti, oppure quando vengano stoccati
prodotti a rischio per probabile presenza di aspergillus dal campo.
4. L’ELIMINAZIONE DELLE PARTI PICCOLE O LEGGERE PRESENTI
NEL PRODOTTO (spezzati piccoli, polveri, farinelli, pule, ecc.) E LA RIDUZIONE
DI MICROFESSURAZIONI E ROTTURA DELLE CARIOSSIDI PERMETTE UN ABBATTIMENTO
DIRETTO DEI LIVELLI DI MOCOTOSSINE ED UNA MIGLIORE CONSERVAZIONE DEL PRODOTTO
Al precedente punto 1 è stata brevemente enunciata la frequente
correlazione tra livelli di “rotture” del prodotto e livelli
di infestazione da funghi.
È quindi tra i compiti dell’essiccatore-stoccatore:
• Eliminare dal prodotto le “parti piccole” e le “parti
leggere” utilizzando getti d’aria, vagli, griglie o metodi
combinati “densimetrici” ad ogni occasione di movimentazione
della granella:
– in fase di caricamento dell’essiccatoio;
– in fase di caricamento nei silos;
– in fase di consegna del prodotto all’utilizzatore finale.
• Ridurre il più possibile le lesioni e le rotture che avvengono
durante il processo di condizionamento, attraverso:
– Aumento del tempo per raggiungere la temperatura di essiccazione
della massa e per ritornare alla temperatura di stoccaggio, al fine di
ridurre la percentuale di microfessurazioni (stress da cracking), sedi
di insediamento dei funghi e causa di rotture nelle successive movimentazioni.
– Movimentazioni con elevatori e “fochinere” con tazze
in gomma, minimo ricorso a coclee metalliche, attenuazione delle sollecitazioni
cinetiche della granella in fase di carico e scarico dei silos (es. uso
di attenuatori dell’altezza di caduta).
– Eliminazione dei “camini” di materiali fini, pulizia
degli angoli morti negli impianti, prevenzione dei possibili punti di
riscaldamento.
CONTROLLI IN ENTRATA:
1. Acquisto delle merci. La merce dovrebbe sempre essere
acquistata sulla base dei “Contratti Unificati Generali Italiani”.
Si tratta dei contratti tipo, validi per le varie derrate (vedi Tab3),
che stabiliscono le condizioni di contratto per ogni trattativa economica,
specificando regole precise di comportamento delle parti contraenti relativamente
a Qualità, Tolleranze e abbuoni, Reclami, Campionamento e analisi,
Mancata osservanza dei termini di esecuzione, Luogo e modalità
di consegna, Inadempienze, Cause di Forza maggiore e Clausola compromissoria.
Si tratta di regole di base, volte alla qualità ed al controllo
delle merci oggetto di transazione.
La merce acquistata, inoltre, deve sempre rientrare nella definizione
di “sana, leale e mercantile”. Tutto ciò costituisce
regola di base cui il mangimista o fornitore di alimenti zootecnici si
dovrebbe attenere per effettuare gli acquisti di tutti i prodotti trattati
sul mercato nazionale. Bisogna quindi conoscere i Contratti Tipo ed applicarli.
2. Controlli all’arrivo:
Pre-campionamento per accettazione – si tratta di un esame visivo
della qualità della merce, della sua corrispondenza con l’ordine
e per la eventuale presenza di frodi e stratificazioni macroscopiche.
Campionamento con sonda elettromeccanica, secondo le modalità indicate
dalla legge per un controllo analitico principalmente sulla Sostanza Secca
della derrata e, almeno ogni 3-4 arrivi, sulla presenza di micotossine
(Kit come metodo di screening). Per alimenti in sacchi, o comunque confezionati,
sarà necessario controllare che le confezioni siano integre, asciutte
e intatte.
Scarico in fossa – se la merce viene accettata il camion potrà
scaricare in fossa da cui la merce verrà convogliata ai silos di
stoccaggio. Tuttavia anche in questa fase un controllo su inquinamenti,
anche da insetti, o frodi da stratificazione (inserimento a strati di
merce estranea quali carbonato di calcio, rocce calciche macinate, o comunque
derrate diverse da quella ordinata) è necessario.
Possibilità di utilizzo alternativo di una derrata che solo dopo
avvenuta accettazione sia rilevata come non conforme (procedura di non
conformità o destinazione d’uso alternativo). Si
tratta di disporre, anche dopo l’accettazione, di una possibilità
di “deviazione” del carico su silos destinati a stoccaggio
per uso alternativo, mediante coclee ed elevatori in grado di indirizzare
diversamente il prodotto dalla destinazione definita in prima accettazione.
• STOCCAGGIO:
1. Stoccaggio in silos separati e, per quanto possibile,
dedicati.
2. Pulizia dei silos, effettuata ad ogni nuovo carico
con utilizzo di fumiganti.
3. Possibilità di areazione dei silos, sia naturale
che forzata, per quegli alimenti che possono essere a rischio di umidità
eccessiva (es. cereale umido).
4. Condizionamento della merce – riciclo del cereale
con separazione del prodotto eventualmente inumidito o avariato (es. Formazione
di “ponte” o di “cono centrale” impaccato, generalmente
formato dalle rotture e polveri del cereale).
• MISCELAZIONE:
1. Disponibilità di linee di miscelazione e produzione
separate per diversi prodotti finiti, soprattutto in base alla
loro destinazione.
2. Pulizia routinaria del miscelatore.
3. Pulizia routinaria degli aspi, tramite passaggio di miscelata
di pulizia (in genere una miscela di orzo e carbonato di calcio o, meglio
ancora, avena).
L’operazione di pulizia deve costituire una procedura precisa e
ripetibile nei tempi stabiliti.
• TRASPORTO:
1. I mezzi adibiti al trasporto delle
derrate e dei mangimi devono essere adeguatamente puliti secondo
procedure di pulizia precise e ripetibili. Gli operatori devono essere
istruiti e responsabilizzati su questo argomento. In particolare è
necessario effettuare una pulizia delle coclee e lo svuotamento dei pozzetti
di scarico ad ogni trasporto ed un lavaggio settimanale del camion oltre
alla corretta manutenzione dei mezzi ordinaria e straordinaria.
La possibilità di disporre di mezzi di proprietà del mangimificio
costituisce punto qualificante relativamente alle condizioni di trasporto.
2. Prelievo di campioni in contraddittorio in partenza.
3. Disponibilità al prelievo di campioni in contraddittorio
all’arrivo (su richiesta del cliente).
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CONTROLLI E TRATTAMENTO DELLE FORNITURE IN ALLEVAMENTO
PER CONTENERE IL RISCHIO DI INQUINAMENTO DA AFLATOSSINE
Anche in allevamento è necessario controllare la qualità
degli alimenti acquistati, il loro stoccaggio ed eventuale trattamento
fino all’ utilizzo finale.
Già abbiamo detto che è opportuno che l’allevatore
definisca con il suo fornitore il limite massimo di contaminazione da
AFB accettabile per gli alimenti acquistati (2-3 mg /Kg ovvero ppb)
In particolare:
• CONTROLLI IN ACCETTAZIONE:
1. Controllo di corrispondenza tra merce in entrata e ordine.
2. Controllo del cartellino che accompagna l’alimento. È
lecito anche chiedere trasparenza relativamente agli ingredienti utilizzati
(per legge dovrebbero essere dichiarati e citati in ordine decrescente
di quantità); ciò è importante, soprattutto per chi
intenda acquistare mangimi e nuclei che non contengano materie prime ad
alto rischio relativamente all’inquinamento da aflatossine.
3. Prelievo di campione in contraddittorio alla consegna.
4. Controllo analitico saltuario concordato con il fornitore per presenza
di Aflatossine.
• STOCCAGGIO:
Anche in allevamento vanno osservate regole di stoccaggio adeguato relativamente
a:
1. Pulizia delle aree di stoccaggio (es. portici) e dei sili (fumigazione,
controllo di eventuali compattamenti, eliminazione dei residui sulle pareti,
ecc.).
2. Apertura del coperchio dei sili durante la notte nei periodi più
caldi per permettere la fuoriuscita dell’umidità eventualmente
formatasi a causa del calore diurno.
• MONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DEGLI ALIMENTI:
1. Controllare quotidianamente tutti gli alimenti utilizzati in razione
per rilevare tempestivamente l’eventuale formazione di zone di muffa
o comunque di prodotto avariato, per poterlo separare
e non somministrare alle bovine in produzione.
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METODOLOGIA DI CAMPIONAMENTO
Le modalità di prelievo del campione rappresentano un passaggio
fondamentale per ottenere un dato analitico corretto. Si può, infatti,
eseguire alla perfezione l’analisi ma se il campione in esame non
è rappresentativo si otterrà un dato che non rispecchia
la realtà.
Le modalità corrette di campionamento sono state oggetto di una
normativa che indica i passaggi, le quantità e le modalità
di campionamento per l’analisi di micotossine (DM 23.12.2000 recepimento
Direttiva 98/53/CE, GU 9.2.2001, n. 33). Tuttavia, nella realtà
aziendale, tale prassi, sicuramente molto corretta, non è di facile
esecuzione sia per le difficoltà di attuazione, sia per la mancanza
di mezzi tecnici ma soprattutto di tempo che tale metodo necessita. Per
ottenere un buon campionamento bisogna innanzi tutto considerare la matrice
che si vuole analizzare: è infatti diverso campionare una farina
rispetto ad un unifeed.
L’omogeneità del campione di partenza è un buon presupposto
per un campione significativo ma anche in questo caso vanno presi accorgimenti
relativi all’omogeneità della partita.
Di seguito vengono riportati alcuni consigli per il campionamento di varie
matrici.
Latte
È la matrice forse più facile da campionare in quanto
è di per sé omogenea. L’accorgimento da adottare è
quello di prelevare il campione sul latte di massa, se possibile dopo
agitazione nel tank di raccolta, a fine mungitura.
Nel caso di prelievo individuale ricordarsi di prelevare il latte della
mungitura complessiva evitando il latte dei primi getti e quello di sgocciolatura.
Pellet e sfarinati (farine, mangimi, ecc.)
Anche in questo caso la matrice è omogenea e l’attenzione
va rivolta più alla significatività del campione nel senso
che va valutato come avviene lo stoccaggio del campione. Farine insilate
in silos verticali possono presentare differenze nel contenuto di micotossina
se preleviamo il campione dal centro del silo o dai bordi, soprattutto
se il silo presenta differenze nei vari punti d’umidità o
di temperatura dovute all’esposizione (a nord, al sole, ecc.). In
tal caso, infatti, si possono sviluppare funghi, e quindi micotossine,
all’interno del silo ma solo in alcune parti e quindi il campione
potrebbe non essere rappresentativo.
Sacchi di farine ammucchiati o cumuli di materia prima possono presentare
punti critici per la presenza d’acqua piovana o eccessi d’umidità
del terreno che potrebbero predisporre ad attacchi fungini in zone particolari.
Fieni
Rappresentano un tipo di campione abbastanza critico per la possibilità
che la micotossina, se presente, si distribuisce in maniera diversa nello
spessore della balla, in particolare se questa è tenuta in ambienti
non riparati o con forte umidità. Il prelievo del campione dovrebbe
essere fatto quindi prelevando piccole quantità di fieno nei diversi
punti della balla (interno, esterno) e da diverse balle, se necessario.
Insilati
Nel caso d’insilati in trincea orizzontale (silomais) il prelievo
dovrebbe essere rappresentativo di tutto il fronte di taglio, tenendo
presente che il cappello può essere molto diverso dal centro o
dalle porzioni laterali. Tuttavia bisogna ricordare che gli insilati in
genere sono matrici che presentano solo in rari casi quantità espressive
d’aflatossine.
Unifeed
È sicuramente una matrice critica per la forte disomogeneità
che presenta. Vi sono notevoli differenze da campione a campione dovute
alla composizione dell’unifeed e dalla percentuale d’insilato
e fieni che lo costituiscono. Bisogna ricordare che la probabilità
di trovare aflatossine è maggiore nei concentrati che rappresentano
la parte a granulometria più fine dell’unifeed e quindi quella
che maggiormente si perde nell’eseguire il campionamento.
Eseguire un campione veramente rappresentativo di unifeed è molto
difficile considerato anche il fatto che solo una piccola parte del campione
prelevato sarà destinato all’analisi.
Semi
Sono i più critici per le modalità con le quali la micotossina,
se presente, si distribuisce nel prodotto. Non è improbabile, nell’ambito
della stessa partita o dello stesso lotto, ottenere risultati analitici
molto diversi ripetendo l’analisi: ciò è dovuto alla
forte difficoltà di rendere omogeneo il campione prelevato per
l’analisi e alla matrice stessa a volte molto critica per la presenza
di grassi, di peluria, ecc.
Un aspetto importante del campionamento riguarda la quantità del
campione che viene consegnata per l’analisi: campioni molto scarsi
(sotto i 100 grammi) rischiano di non essere rappresentativi specie nei
casi di matrici disomogenee; di contro quantitativi molto elevati (sopra
i 500 grammi) creano grosse difficoltà al momento della miscelazione
prima del prelievo per l’analisi rischiando una difformità
del quantitativo prelevato.
La buona conservazione del campione dopo il prelievo è importante
per garantire un buon risultato analitico. In genere tutti i campioni
vanno tenuti in luogo fresco e asciutto fino alla consegna al laboratorio,
se possibile in frigorifero, cosa peraltro necessaria nel caso del latte.
Il tempo che intercorre tra il prelievo e la consegna per l’analisi
dovrebbe essere il più breve possibile e, comunque, non eccedere
le 24-36 ore. In caso di tempi più lunghi potrebbe essere necessario
provvedere al congelamento del campione previo accordo con il laboratorio.
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Questa lezione è tratta da:
“Rischio di aflatossine nel latte: linee guida per la produzione
e l’acquisto di alimenti zootecnici”, Quaderni della Ricerca
2001, Regione Lombardia.
“Aflatossine nel latte e negli alimenti zootecnici:metodiche analitiche
e anamnesi di allevamento”, Quaderni della Ricerca 2001, Regione
Lombardia.
I testi completi sono scaricabili dal sito della Regione Lombardia (www.agricoltura.regione.lombardia.it).
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