Corso di Valutazione Nutrizionale dei Mangimi

Prof.ssa Doriana Tedesco

 

Lezione 10 - Prevenzione della contaminazione da aflatossine

CENNI SULLE AFLATOSSINE
LINEE GUIDA PER MINIMIZZARE LA PRESENZA DI AFLATOSSINE NELLA GRANELLA DI MAIS
- COLTIVAZIONE
- RACCOLTA E STOCCAGGIO
CONTROLLI
CONTROLLI E TRATTAMENTO DELLE FORNITURE
METODOLOGIA DI CAMPIONAMENTO
Le aflatossine sono metaboliti secondari di muffe appartenenti alle specie Aspergillus flavus e A. parasiticus. Le aflatossine B1, B2, G1 e G2 sono comuni contaminanti dei prodotti alimentari di origine vegetale, mentre la M1 è il risultato del metabolismo epatico della AFB1 e viene escreta nel latte di tutti i mammiferi in lattazione. La crescita delle specie produttrici, e la contaminazione da AF, è un problema soprattutto dei Paesi tropicali e subtropicali, con climi piuttosto caldi e umidi, ma le condizioni di crescita e produzione sono facilmente riscontrabili anche in Italia, in particolare in Pianura Padana nel periodo estivo.

 

Le aflatossine sono metaboliti secondari di muffe appartenenti alle specie Aspergillus flavus e A. parasiticus. Le aflatossine B1, B2, G1 e G2 sono comuni contaminanti dei prodotti alimentari di origine vegetale, mentre la M1 è il risultato del metabolismo epatico della AFB1 e viene escreta nel latte di tutti i mammiferi in lattazione. Le condizioni ottimali per la crescita del micelio fungino sono rappresentate da una temperatura compresa tra 36 e 38 °C, da una umidità del substrato del 30% e da una umidità ambientale dell’85%, mentre la maggiore produzione di tossine avviene tra 24 e 27 °C per l’Aflatossina B1 e tra 29 e 30 °C per l’Aflatossina G1. La crescita delle specie produttrici, e la contaminazione da AF, è un problema soprattutto dei Paesi tropicali e subtropicali, con climi piuttosto caldi e umidi, ma le condizioni di crescita e produzione sono facilmente riscontrabili anche in Italia, in particolare in Pianura Padana nel periodo estivo. Il fattore più importante da considerare è l'umidità del substrato: infatti la crescita delle muffe si ha solo in presenza di valori di attività dell'acqua (aw) superiori a 0.8. Condizioni favorevoli alla crescita delle muffe e alla produzione di aflatossine si riscontrano soprattutto nella fase di conservazione dei cereali più frequentemente utilizzati in alimentazione animale, in particolare il mais.
Tra le aflatossine la AFB1 è considerata la più tossica, infatti possiede una potente attività cancerogena, mutagena e teratogena ed è classificata come carcinogeno di gruppo I dall'Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC, 1987). Mentre sono rari i fenomeni di intossicazione acuta, gli animali domestici sono frequentemente esposti a fenomeni di aflatossicosi cronica, i cui sintomi, conseguenti ad alterazioni della funzionalità epatica, sono anoressia, anemia e drastica caduta delle performances zootecniche. I giovani sono notevolemente più sensibili degli adulti, e tra le specie che mostrano maggiore sensibilità sono da segnalare i suini e i volatili da cortile. I ruminanti sono meno sensibili agli effetti tossici delle aflatossine, sia per la possibile inattivazione a livello ruminale di parte delle tossine ingerite, sia per delle differenze nel metabolismo epatico della sostanza.
Responsabile degli effetti epatocarcinogeni dell'AFB1 non è la tossina tal quale ma il prodotto della sua epossidazione ad opera degli enzimi del sistema del citocromo P450, localizzato a livello dei microsomi epatocitari. Nei ruminanti, a differenza che nelle altre specie, questa via di trasformazione è catalizzata dagli enzimi del citocromo P448. La detossificazione avviene attraverso il legame con il GSH o glutatione ridotto (reazione catalizzata dalla GSH-transferasi) ed in minor misura attraverso la trasformazione ad aflatossicolo, molecola con minore tossicità ma che può in parte essere riconvertita in AFB1. Sempre a livello epatocitario l'AFB1 può andare incontro a metilazione, trasformandosi in AFM1 che, attraverso il sistema circolatorio, raggiunge la mammella, dove viene escreta nel latte. Il tasso di escrezione di AFM1 nel latte è estremamente variabile ed è influenzato da diversi fattori: il principale è la permeabilità della barriera emato-mammaria. Si è riscontrato infatti che in bovine nella fase iniziale della lattazione e ad alta produzione il tasso di escrezione è maggiore. Tuttavia è difficilmente prevedibile il livello di AFM1 nel latte a seguito di ingestione di alimenti contaminati da AFB1: infatti esso non varia solo da individuo a individuo, ma addirittura in funzione dei giorni o delle ore di mungitura. In generale è segnalato in letteratura un tasso di carry over variabile dallo 0.25 al 4.8%, ed è stato calcolato che con un’ingestione di AFB1 superiore a 40 µg/capo/giorno, viene superato il livello di 50 ppt di AFM1 nel latte. Un'equazione è stata formulata mettendo in correlazione l'ingestione di AFB1 e l'escrezione di AFM1:

AFM1 (ng/kg latte) = 1.19 x AFB1 ingerita (µg per vacca per giorno) + 1.9 (r = 0.93).

La stabilità dell'AFM1 ai comuni processi cui il latte alimentare è sottoposto è elevata: i trattamenti termici (pasteurizzazione, refrigerazione) non hanno pressochè nessun effetto di abbattimento dei livelli di tossina, ed essa è riscontrabile anche dopo la caseificazione e la maturazione dei formaggi.
Per questo motivo la contaminazione di AFM1 nel latte di stalla pone rischi per tutta la filiera del latte, e in particolare per quello destinato ai bambini, più sensibili alla sua tossicità. L'Unione Europea ha stabilito valori soglia per il contenuto di AFB1 negli alimenti destinati agli animali a partire dal 1976, e valori per l'AF B1, B2, G1,G2 e AFM1 nell'alimentazione umana dal 1998. Le norme europee sull'alimentazione animale impongono limiti tali da evitare gli effetti negativi delle aflatossine sulla salute degli animali e, a riguardo degli alimenti destinati a bovine in lattazione, da evitare una contaminazione da AFM1 nel latte superiore a 0.05µg/l (Tab. 1).

Tabella 1. Valori soglia per AFB1 negli alimenti per bovine da latte e per AFM1 nel latte stabilititi dall'Unione Europea e dalla Autorità Alimentare Americana (FDA=Food and Drug Administration).

Livello massimo ammesso di AFB1 in alimenti per bovine da latte

Unione Europea

5 µg/kg

Dir. CE 29/99

FDA

20 µg/kg

FDA Compliance Policy Guide 7126.33

Livello massimo ammesso di AFM1 nel latte

Unione Europea

0.05µg/l

Reg. n. 466/2001

FDA

0.5 µg/kg

FDA Compliance Policy Guide 7106.10

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LINEE GUIDA PER MINIMIZZARE LA PRESENZA DI AFLATOSSINE NELLA GRANELLA DI MAIS

Nel nostro ambiente di coltivazione si riscontrano livelli molto contenuti di contaminazione da aflatossine, rispetto alle più importanti aree maidicole mondiali.
Tuttavia il peso nei nostri allevamenti della componente mais nella razione, gli elevati standard qualitativi richiesti dal mercato ed una legislazione europea molto restrittiva in materia (valori soglia di concentrazione nel mais e nel latte dieci volte più bassi rispetto agli USA) consigliano l’adozione di alcune procedure ed accorgimenti nelle fasi di coltivazione, di raccolta, di condizionamento e di conservazione, per abbattere ulteriormente la concentrazione di queste (ed altre) micotossine nel prodotto finale.

A) FASE DI COLTIVAZIONE

Aspergillus Flavus ed Aspergillus Parasiticus sono ubiquitari nel terreno, nei residui colturali, nei depositi di foraggi ed alimenti; la capacità del fungo di infettare la pianta di mais e le circostanze che inducono successivamente il fungo a produrre aflatossine in quantità elevata o trascurabile sono ampiamente determinati dalle condizioni ambientali (picchi di temperatura molto elevati, andamenti stagionali caldo-umidi durante la maturazione) e da tutte le comuni cause di stress grave o di squilibrio, che occorrano alla coltura lungo tutto il ciclo di coltivazione (carenza d’acqua, attacchi parassitari, carenze o sbilanciamenti di elementi nutritivi).

1. LA SCELTA DELL’IBRIDO NON È RISOLUTIVA
Riferendoci alla attuale gamma degli ibridi commerciali, non si hanno indicazioni circa l’esistenza di differenze utili per il grado di resistenza allo sviluppo della tossina.
Alcune caratteristiche morfologiche della spiga e della granella possono essere di qualche vantaggio nel contenere lo sviluppo del fungo:
– completa copertura della spiga e brattee consistenti, contro l’attacco di insetti ed altri patogeni;
– portamento non eretto della spiga in fase di maturazione, ad evitare la ritenzione dell’acqua piovana e la reidratazione della granella;
– granella meno suscettibile (per la forma e per la durezza dell’endosperma) alle rotture meccaniche che si verificano nei processi di raccolta
– essiccazione – movimentazione.

2. LA CARENZA D’ACQUA È LA CONDIZIONE PIÙ IMPORTANTE PER L’INFEZIONE DA ASPERGILLO
L’infezione primaria ed il successivo sviluppo del fungo trovano condizioni molto favorevoli in corrispondenza dei periodi più o meno lunghi nei quali la pianta si trova in stato di stress evapotraspirativo per inadeguato rifornimento di acqua e per temperature eccessive. Viene quindi richiesto da parte dell’agricoltore un adeguato e regolare rifornimento di acqua alla coltura.

3. L’ATTACCO DELLA PIRALIDE È UN FONDAMENTALE “FATTORE CONCOMITANTE” CON LA DIFFUSIONE DEL FUNGO E LA PRODUZIONE DI AFLATOSSINE
Le larve di prima generazione indeboliscono la pianta già nella prima fase di inizio levata; quelle di seconda generazione compaiono generalmente durante o appena dopo la fase di fecondazione, quindi si approfondiscono con lunghi tunnel in tutti gli organi della pianta, diffondendo l’infezione di vari funghi nello stocco e nei tessuti danneggiati della spiga e della granella. Larve di terza generazione sono state riscontrate nella stagione e nelle zone più calde, con sviluppo preferenziale sulla spiga. Le colture attaccate danno un prodotto con una quota elevata di granelli spezzati o danneggiati e polveri.

4. L’ANTICIPO DELLA RACCOLTA PREVIENE LA FASE PIÙ ATTIVA DELL’INVASIONE FUNGINA
Il mais conclude il riempimento della cariosside e raggiunge il massimo nella sostanza secca raccoglibile quando viene completata la formazione dello “strato nero” (maturazione fisiologica); in questo stadio la granella presenta una umidità intorno al 30-32%.
La successiva fase di perdita di umidità in campo, fino alla stadio di “maturazione agronomica”, può avere diversa durata in relazione all’epoca di comparsa dello strato nero ed all’andamento stagionale.
La granella di mais, ormai isolata dalla pianta madre, diventa in questa fase estremamente suscettibile all’invasione da parte dei funghi. Il livello finale di concentrazione delle micotossine dipende molto, oltre che dal “potenziale inoculo del fungo” e dalle “condizioni di incubazione” (andamento climatico) anche dal tempo in cui il substrato (la granella di mais) è lasciata a “disposizione” del patogeno. Le indicazioni per l’agricoltore sono conseguenti:
• Diminuire i tempi di permanenza in campo dopo lo strato nero, accettando di raccogliere ad umidità ragionevolmente più elevata di quella consentita dall’ibrido o dall’andamento stagionale.
• Evitare la post-maturazione in pianta (perdita di umidità fino a valori prossimi all’umidità di conservazione) possibili con ibridi precoci già maturi in agosto ed, in minor misura, con ibridi di ciclo medio.
Nello specifico dell’aspergillo e delle aflatossine, l’umidità ottimale della cariosside per lo sviluppo del fungo è compresa tra il 16 ed il 20%: la raccolta del prodotto ad umidità non inferiore al 22-23% ed una immediata essiccazione garantiscono un abbattimento della potenziale carica di tossine.

5. UNA CORRETTA CONCIMAZIONE FORNISCE ALLA PIANTA MIGLIORI DIFESE
Un apporto sub ottimale di elementi nutritivi o uno sbilanciamento tra gli stessi (per errata tecnica di concimazione, cattiva lavorazione -strutturazione dei terreni, perdite, competizione con le infestanti, ecc.) è anch’esso correlato sia all’intensità dell’infestazione, sia alla produzione di tossina da parte del fungo.
L’agricoltore deve soprattutto considerare l’importanza di:
• fornire una quantità adeguata di azoto
• assicurare una buona bilanciatura azoto/potassio

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B)FASE DI RACCOLTA, CONDIZIONAMENTO E STOCCAGGIO

1. UNA REGOLAZIONE PUNTUALE DELLA MIETITREBBIA RIDUCE ROTTURE E FESSURAZIONI DELLE CARIOSSIDI E PREPULISCE IL PRODOTTO DALLE PARTI A PIÙ BASSO PESO SPECIFICO
Una partita di mais che presenti molte rotture, lesioni e microfessurazione dei chicchi, costituisce un substrato più attaccabile dai funghi e di più difficile conservazione in fase di stoccaggio; i granelli invasi dal fungo sono frequentemente più piccoli (provengono dalla punta della spiga) più leggeri e più sogetti a rotture (anch’esse a basso peso specifico).

2. LA RIDUZIONE DELL’INTERVALLO DI TEMPO TRA LA RACCOLTA E L’ESSICAZIONE PREVIENE UNA IMPORTANTE PROLIFERAZIONE SECONDARIA DEI FUNGHI.
Già nelle prime ore di attesa del prodotto umido sui carri o sui piazzali degli essiccatoi si attivano processi di ossidazione e di fermentazione, con sensibile perdita di sostanza secca ed aumento della temperatura della massa. Si innesca soprattutto una rapidissima proliferazione secondaria dei funghi con una capacità di invasione del prodotto proporzionale ai tempi di attesa, all’umidità della granella, alla temperatura esterna, all’altezza e compressione dei cumuli. Diventa essenziale, sotto questo riguardo, un coordinamento tra produttori, aziende agromeccaniche ed essiccatori, per una stretta pianificazione dei conferimenti.

3. UNA UMIDITÀ FINALE DELLA GRANELLA, ADEGUATA ALLA TIPOLOGIA DELL’IMPIANTO, ALLA DURATA DELLO STOCCAGGIO ED ALLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO IN ENTRATA È LA CONDIZIONE PRIMARIA PER INIBIRE OGNI ATTIVITÀ FUNGINA IN FASE DI CONSERVAZIONE
Una umidità di riferimento pari il 14% (come indicato dall’attuale Contratto Nazionale 103) può essere considerata idonea in riferimento alle caratteristiche medie degli impianti, al tempo di conservazione ed alle condizioni climatiche dei nostri ambienti di produzione.
Umidità superiori, fino al 14,5-15%, sono tecnicamente sopportabili soltanto per impianti “più che ordinari” (con la possibilità di raffreddamento della massa o di atmosfera controllata in silos verticali) o per prodotti con livelli di acqua libera relativamente più bassi rispetto alla media (granella ad alto peso specifico con endosperma duro).
Una umidità prudenziale intorno al 13-13,5% è consigliata per impianti con minori possibilità di controllo del prodotto (impianti con conservazione in capannone o platea).
Infine, una umidità di garanzia intorno al 12-12,5% viene adottata quando esistono strette condizioni contrattuali con utilizzatori finali esigenti, oppure quando vengano stoccati prodotti a rischio per probabile presenza di aspergillus dal campo.

4. L’ELIMINAZIONE DELLE PARTI PICCOLE O LEGGERE PRESENTI NEL PRODOTTO (spezzati piccoli, polveri, farinelli, pule, ecc.) E LA RIDUZIONE DI MICROFESSURAZIONI E ROTTURA DELLE CARIOSSIDI PERMETTE UN ABBATTIMENTO DIRETTO DEI LIVELLI DI MOCOTOSSINE ED UNA MIGLIORE CONSERVAZIONE DEL PRODOTTO
Al precedente punto 1 è stata brevemente enunciata la frequente correlazione tra livelli di “rotture” del prodotto e livelli di infestazione da funghi.
È quindi tra i compiti dell’essiccatore-stoccatore:
• Eliminare dal prodotto le “parti piccole” e le “parti leggere” utilizzando getti d’aria, vagli, griglie o metodi combinati “densimetrici” ad ogni occasione di movimentazione della granella:
– in fase di caricamento dell’essiccatoio;
– in fase di caricamento nei silos;
– in fase di consegna del prodotto all’utilizzatore finale.
• Ridurre il più possibile le lesioni e le rotture che avvengono durante il processo di condizionamento, attraverso:
– Aumento del tempo per raggiungere la temperatura di essiccazione della massa e per ritornare alla temperatura di stoccaggio, al fine di ridurre la percentuale di microfessurazioni (stress da cracking), sedi di insediamento dei funghi e causa di rotture nelle successive movimentazioni.
– Movimentazioni con elevatori e “fochinere” con tazze in gomma, minimo ricorso a coclee metalliche, attenuazione delle sollecitazioni cinetiche della granella in fase di carico e scarico dei silos (es. uso di attenuatori dell’altezza di caduta).
– Eliminazione dei “camini” di materiali fini, pulizia degli angoli morti negli impianti, prevenzione dei possibili punti di riscaldamento.

CONTROLLI IN ENTRATA:

1. Acquisto delle merci. La merce dovrebbe sempre essere acquistata sulla base dei “Contratti Unificati Generali Italiani”. Si tratta dei contratti tipo, validi per le varie derrate (vedi Tab3), che stabiliscono le condizioni di contratto per ogni trattativa economica, specificando regole precise di comportamento delle parti contraenti relativamente a Qualità, Tolleranze e abbuoni, Reclami, Campionamento e analisi, Mancata osservanza dei termini di esecuzione, Luogo e modalità di consegna, Inadempienze, Cause di Forza maggiore e Clausola compromissoria. Si tratta di regole di base, volte alla qualità ed al controllo delle merci oggetto di transazione.
La merce acquistata, inoltre, deve sempre rientrare nella definizione di “sana, leale e mercantile”. Tutto ciò costituisce regola di base cui il mangimista o fornitore di alimenti zootecnici si dovrebbe attenere per effettuare gli acquisti di tutti i prodotti trattati sul mercato nazionale. Bisogna quindi conoscere i Contratti Tipo ed applicarli.
2. Controlli all’arrivo:
Pre-campionamento per accettazione – si tratta di un esame visivo della qualità della merce, della sua corrispondenza con l’ordine e per la eventuale presenza di frodi e stratificazioni macroscopiche.
Campionamento con sonda elettromeccanica, secondo le modalità indicate dalla legge per un controllo analitico principalmente sulla Sostanza Secca della derrata e, almeno ogni 3-4 arrivi, sulla presenza di micotossine (Kit come metodo di screening). Per alimenti in sacchi, o comunque confezionati, sarà necessario controllare che le confezioni siano integre, asciutte e intatte.
Scarico in fossa – se la merce viene accettata il camion potrà scaricare in fossa da cui la merce verrà convogliata ai silos di stoccaggio. Tuttavia anche in questa fase un controllo su inquinamenti, anche da insetti, o frodi da stratificazione (inserimento a strati di merce estranea quali carbonato di calcio, rocce calciche macinate, o comunque derrate diverse da quella ordinata) è necessario.
Possibilità di utilizzo alternativo di una derrata che solo dopo avvenuta accettazione sia rilevata come non conforme (procedura di non conformità o destinazione d’uso alternativo). Si
tratta di disporre, anche dopo l’accettazione, di una possibilità di “deviazione” del carico su silos destinati a stoccaggio per uso alternativo, mediante coclee ed elevatori in grado di indirizzare diversamente il prodotto dalla destinazione definita in prima accettazione.
• STOCCAGGIO:
1. Stoccaggio in silos separati e, per quanto possibile, dedicati.
2. Pulizia dei silos, effettuata ad ogni nuovo carico con utilizzo di fumiganti.
3. Possibilità di areazione dei silos, sia naturale che forzata, per quegli alimenti che possono essere a rischio di umidità eccessiva (es. cereale umido).
4. Condizionamento della merce – riciclo del cereale con separazione del prodotto eventualmente inumidito o avariato (es. Formazione di “ponte” o di “cono centrale” impaccato, generalmente formato dalle rotture e polveri del cereale).
• MISCELAZIONE:
1. Disponibilità di linee di miscelazione e produzione separate per diversi prodotti finiti, soprattutto in base alla loro destinazione.
2. Pulizia routinaria del miscelatore.
3. Pulizia routinaria degli aspi
, tramite passaggio di miscelata di pulizia (in genere una miscela di orzo e carbonato di calcio o, meglio ancora, avena).
L’operazione di pulizia deve costituire una procedura precisa e ripetibile nei tempi stabiliti.
• TRASPORTO:
1. I mezzi adibiti al trasporto delle derrate e dei mangimi devono essere adeguatamente puliti secondo procedure di pulizia precise e ripetibili. Gli operatori devono essere istruiti e responsabilizzati su questo argomento. In particolare è necessario effettuare una pulizia delle coclee e lo svuotamento dei pozzetti di scarico ad ogni trasporto ed un lavaggio settimanale del camion oltre alla corretta manutenzione dei mezzi ordinaria e straordinaria.
La possibilità di disporre di mezzi di proprietà del mangimificio costituisce punto qualificante relativamente alle condizioni di trasporto.
2. Prelievo di campioni in contraddittorio in partenza.
3. Disponibilità al prelievo di campioni in contraddittorio all’arrivo (su richiesta del cliente).

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CONTROLLI E TRATTAMENTO DELLE FORNITURE IN ALLEVAMENTO PER CONTENERE IL RISCHIO DI INQUINAMENTO DA AFLATOSSINE

Anche in allevamento è necessario controllare la qualità degli alimenti acquistati, il loro stoccaggio ed eventuale trattamento fino all’ utilizzo finale.
Già abbiamo detto che è opportuno che l’allevatore definisca con il suo fornitore il limite massimo di contaminazione da AFB accettabile per gli alimenti acquistati (2-3 mg /Kg ovvero ppb)

In particolare:
• CONTROLLI IN ACCETTAZIONE:
1. Controllo di corrispondenza tra merce in entrata e ordine.
2. Controllo del cartellino che accompagna l’alimento. È lecito anche chiedere trasparenza relativamente agli ingredienti utilizzati (per legge dovrebbero essere dichiarati e citati in ordine decrescente di quantità); ciò è importante, soprattutto per chi intenda acquistare mangimi e nuclei che non contengano materie prime ad alto rischio relativamente all’inquinamento da aflatossine.
3. Prelievo di campione in contraddittorio alla consegna.
4. Controllo analitico saltuario concordato con il fornitore per presenza di Aflatossine.
• STOCCAGGIO:
Anche in allevamento vanno osservate regole di stoccaggio adeguato relativamente a:
1. Pulizia delle aree di stoccaggio (es. portici) e dei sili (fumigazione, controllo di eventuali compattamenti, eliminazione dei residui sulle pareti, ecc.).
2. Apertura del coperchio dei sili durante la notte nei periodi più caldi per permettere la fuoriuscita dell’umidità eventualmente formatasi a causa del calore diurno.
• MONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DEGLI ALIMENTI:
1. Controllare quotidianamente tutti gli alimenti utilizzati in razione per rilevare tempestivamente l’eventuale formazione di zone di muffa o comunque di prodotto avariato, per poterlo separare
e non somministrare alle bovine in produzione.

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METODOLOGIA DI CAMPIONAMENTO

Le modalità di prelievo del campione rappresentano un passaggio fondamentale per ottenere un dato analitico corretto. Si può, infatti, eseguire alla perfezione l’analisi ma se il campione in esame non è rappresentativo si otterrà un dato che non rispecchia la realtà.
Le modalità corrette di campionamento sono state oggetto di una normativa che indica i passaggi, le quantità e le modalità di campionamento per l’analisi di micotossine (DM 23.12.2000 recepimento Direttiva 98/53/CE, GU 9.2.2001, n. 33). Tuttavia, nella realtà aziendale, tale prassi, sicuramente molto corretta, non è di facile esecuzione sia per le difficoltà di attuazione, sia per la mancanza di mezzi tecnici ma soprattutto di tempo che tale metodo necessita. Per ottenere un buon campionamento bisogna innanzi tutto considerare la matrice che si vuole analizzare: è infatti diverso campionare una farina rispetto ad un unifeed.
L’omogeneità del campione di partenza è un buon presupposto per un campione significativo ma anche in questo caso vanno presi accorgimenti relativi all’omogeneità della partita.
Di seguito vengono riportati alcuni consigli per il campionamento di varie matrici.

Latte

È la matrice forse più facile da campionare in quanto è di per sé omogenea. L’accorgimento da adottare è quello di prelevare il campione sul latte di massa, se possibile dopo agitazione nel tank di raccolta, a fine mungitura.
Nel caso di prelievo individuale ricordarsi di prelevare il latte della mungitura complessiva evitando il latte dei primi getti e quello di sgocciolatura.

Pellet e sfarinati (farine, mangimi, ecc.)

Anche in questo caso la matrice è omogenea e l’attenzione va rivolta più alla significatività del campione nel senso che va valutato come avviene lo stoccaggio del campione. Farine insilate in silos verticali possono presentare differenze nel contenuto di micotossina se preleviamo il campione dal centro del silo o dai bordi, soprattutto se il silo presenta differenze nei vari punti d’umidità o di temperatura dovute all’esposizione (a nord, al sole, ecc.). In tal caso, infatti, si possono sviluppare funghi, e quindi micotossine, all’interno del silo ma solo in alcune parti e quindi il campione potrebbe non essere rappresentativo.
Sacchi di farine ammucchiati o cumuli di materia prima possono presentare punti critici per la presenza d’acqua piovana o eccessi d’umidità del terreno che potrebbero predisporre ad attacchi fungini in zone particolari.

Fieni

Rappresentano un tipo di campione abbastanza critico per la possibilità che la micotossina, se presente, si distribuisce in maniera diversa nello spessore della balla, in particolare se questa è tenuta in ambienti non riparati o con forte umidità. Il prelievo del campione dovrebbe essere fatto quindi prelevando piccole quantità di fieno nei diversi punti della balla (interno, esterno) e da diverse balle, se necessario.

Insilati

Nel caso d’insilati in trincea orizzontale (silomais) il prelievo dovrebbe essere rappresentativo di tutto il fronte di taglio, tenendo presente che il cappello può essere molto diverso dal centro o dalle porzioni laterali. Tuttavia bisogna ricordare che gli insilati in genere sono matrici che presentano solo in rari casi quantità espressive d’aflatossine.

Unifeed

È sicuramente una matrice critica per la forte disomogeneità che presenta. Vi sono notevoli differenze da campione a campione dovute alla composizione dell’unifeed e dalla percentuale d’insilato e fieni che lo costituiscono. Bisogna ricordare che la probabilità di trovare aflatossine è maggiore nei concentrati che rappresentano la parte a granulometria più fine dell’unifeed e quindi quella che maggiormente si perde nell’eseguire il campionamento.
Eseguire un campione veramente rappresentativo di unifeed è molto difficile considerato anche il fatto che solo una piccola parte del campione prelevato sarà destinato all’analisi.

Semi

Sono i più critici per le modalità con le quali la micotossina, se presente, si distribuisce nel prodotto. Non è improbabile, nell’ambito della stessa partita o dello stesso lotto, ottenere risultati analitici molto diversi ripetendo l’analisi: ciò è dovuto alla forte difficoltà di rendere omogeneo il campione prelevato per l’analisi e alla matrice stessa a volte molto critica per la presenza di grassi, di peluria, ecc.

Un aspetto importante del campionamento riguarda la quantità del campione che viene consegnata per l’analisi: campioni molto scarsi (sotto i 100 grammi) rischiano di non essere rappresentativi specie nei casi di matrici disomogenee; di contro quantitativi molto elevati (sopra i 500 grammi) creano grosse difficoltà al momento della miscelazione prima del prelievo per l’analisi rischiando una difformità del quantitativo prelevato.

La buona conservazione del campione dopo il prelievo è importante per garantire un buon risultato analitico. In genere tutti i campioni vanno tenuti in luogo fresco e asciutto fino alla consegna al laboratorio, se possibile in frigorifero, cosa peraltro necessaria nel caso del latte.
Il tempo che intercorre tra il prelievo e la consegna per l’analisi dovrebbe essere il più breve possibile e, comunque, non eccedere le 24-36 ore. In caso di tempi più lunghi potrebbe essere necessario provvedere al congelamento del campione previo accordo con il laboratorio.

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Questa lezione è tratta da:

“Rischio di aflatossine nel latte: linee guida per la produzione e l’acquisto di alimenti zootecnici”, Quaderni della Ricerca 2001, Regione Lombardia.

“Aflatossine nel latte e negli alimenti zootecnici:metodiche analitiche e anamnesi di allevamento”, Quaderni della Ricerca 2001, Regione Lombardia.

I testi completi sono scaricabili dal sito della Regione Lombardia (www.agricoltura.regione.lombardia.it).